Lettera di Natale
Il tempo del Covid ci fa riscoprire un Natale più semplice e sobrio, ma soprattutto più profondo e più bello.
Un Natale…
… che ci fa riconoscere il valore delle parole buone
E se in questo Natale particolare provassimo a diffondere il contagio del bene e della speranza? Abbiamo bisogno di dare e ricevere gesti di gentilezza, che aiutano a vivere, abbiamo bisogno di parole che ci infondano speranza e coraggio. Cerchiamo di mantenere le relazioni anche se siamo a distanza, portando serenità e ottimismo. Senza trasmettere ansie ingiustificate ma anche senza illudere nessuno che non esista alcun pericolo.
… che regala vicinanza a chi ha più bisogno
Il virus ha fatto molte vittime, ha lasciato ammalati, familiari in lutto, lavoratori senza lavoro, persone cadute in depressione. Ci sono anziani che si ritrovano più fragili e più soli, genitori con figli in età scolare che hanno visto moltiplicarsi i problemi. Famiglie già in difficoltà sono entrate definitivamente in crisi. Ci sono disorientamento e paura, ci sono donne e bambini ancor più esposti a forme di violenza.
Tutte queste persone devono farci riscoprire il Natale nel suo significato originale. In fondo il messaggio del Natale ci dice che il volto di Gesù Bambino è il volto di una persona, di chi è attorno a noi e che forse non abbiamo mai guardato. In questo Natale cerchiamo di scoprire il volto di Gesù nel viso di donne e uomini sofferenti, di far sentire loro la nostra vicinanza. Pensare a chi ha meno di noi – non solo sul piano materiale – è un aspetto fondamentale di umanità e giustizia: mi auguro quindi che questo sia un Natale di altruismo, di attenzione e di generosità attraverso atti concreti. Il nostro vaccino si chiama solidarietà.
… nel segno del cambiamento
Il Covid segna una cesura: c’era un prima e ci sarà un dopo, come accade per i grandi eventi della storia. Questo Natale con il Covid ci spinge a interrogarci sui meccanismi del sistema economico e delle relazioni sociali. Non si tratta di salvare il Natale come festa dei consumi. Non facciamo come in passato e riconosciamo invece che in questi dieci mesi il mondo è profondamente cambiato. Anche per questo motivo proviamo a festeggiare un Natale 2020 più semplice e sobrio, e quindi più vero e più bello.
Questo Natale inedito ci può aiutare a rileggere le nostre convinzioni e abitudini e anche a riconoscere tante cose a cui possiamo rinunciare. Da questo cambiamento potrà nascere il bene per la società, e sarà un po‘ come la nascita del Bambino a Natale, come l’inizio di una nuova storia.
… che invita a confrontarsi con il presente
Nella nuova realtà disegnata dal coronavirus, a chi ha responsabilità a livello decisionale è richiesto di affrontare il presente: significa essere pronti a nuove prospettive, a cogliere i segnali che arrivano ogni giorno dalla società, a dare risposte. Di questo atteggiamento abbiamo tutti bisogno. Così questo Natale particolare può aiutare anche a riallacciare legami nella comunità, a ritrovare ciò che ci unisce e che la crisi ha danneggiato: tra le persone, tra le fasce sociali, anche al di sopra delle diverse posizioni politiche. Dobbiamo sforzarci di capire cosa ci dicono le persone, specialmente coloro che portano in sé un carico di ansia e sfiducia. E domandarci: cosa posso fare io per far ritrovare coraggio, speranza e pace al mio prossimo? Chi non devo assolutamente dimenticare in questo Natale 2020? Chi devo ringraziare in modo particolare? Chi ha bisogno di me?
… speciale per la “generazione Covid“
I giovani risentono molto dell’incertezza, della mancanza della scuola in presenza e della socializzazione. Ma la “generazione Covid“ merita tutta la nostra attenzione: in questa esperienza ha rafforzato il suo rispetto verso gli altri e il senso di responsabilità personale. L’impegno di molti giovani è stato ed è ammirevole: nei mesi passati ho avuto notizia di segni confortanti e incoraggianti di vicinanza, aiuto e partecipazione! I giovani sono riusciti a fare di un tempo di limitazioni un’occasione di crescita. Perciò in questo Natale complicato c’è un grande regalo che gli adulti possono fare a bambini e ragazzi: mettersi in ascolto, capire il loro punto di vista, i problemi – spesso nuovi – che stanno vivendo con il virus, i loro sogni. E capire come poterli aiutare, anche nella ricerca di senso per la loro vita futura.
Ai giovani rivolgo un invito: non cercate un’alternativa al Natale, ma cercate di vivere un Natale alternativo! Di cuore vi auguro il coraggio e la forza di curare le relazioni, di impegnare per voi e per gli altri il dono di una vita giovane e preziosa, di vincere con fede e speranza le sfide del presente, di farvi ascoltare. Così aiuterete la comunità, noi tutti, a non perdere di vista l’essenziale, anche a Natale.
Augurio di Natale
Valgano per tutti noi le parole pronunciate da papa Francesco quest’anno nella solennità di Pentecoste: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”.
A tutti voi auguro una festa di Natale piena di speranza con al centro il motivo di questa speranza: Gesù Cristo, il Figlio di Dio e il Figlio di una Madre terrena.
+ Ivo Muser, vescovo
Manuel, il bambino che parlava con Gesù
È uscita la nuova edizione, dopo il fortunato esordio della prima (6mila copie vendute), del libro sul «piccolo guerriero della luce», scritto da Enza Maria Milana e Valerio Bocci.
VALERIO BOCCI*
Ci sono bambini che giocano con il telefonino e corrono felici. Belli e in salute come quelli della pubblicità. E altri, tanti altri, che si vedono interrompere l’allegra corsa della vita da avvenimenti dolorosi ed improvvisi. Sono le vittime casuali di violenze gratuite e assurde “firmate” da gente folle. O bersaglio di bombe “intelligenti” sganciate dagli aeri mentre vanno a scuola e di onde violente che li schiacciano in fondo al mare o in cerca di una terra libera in cui vivere. Di loro se ne parla il tempo di un telegiornale o di un articolo su un quotidiano, poi vengono presto dimenticati dalla memoria collettiva con buona pace per tutti.
Ce ne sono altri poi che vengono “cancellati” dalla vita ma che fanno parlare a lungo di sé. Perché sono normali e speciali al tempo stesso. Perché, senza volerlo e a loro insaputa, salgono in cattedra e danno lezioni di vita agli adulti.
Uno di questi è Manuel Foderà di Calatafimi, un bambino che «sognava di vivere fino a 150 anni» e, invece, come tanti altri suoi compagni di viaggio, è stato spazzato via da un tumore a soli 9 anni. Il “piccolo guerriero della Luce”, come si autodefiniva, se ne è andato in Cielo il 20 luglio 2010, dopo aver lottato per cinque anni a colpi di chemio, giochi, sorrisi e preghiere contro il neuroblastoma che aveva intaccato il suo bacino. Un bambino normalissimo ma anche molto particolare per come ha riempito il breve segmento della sua vita e per ciò che ha scritto nei suoi racconti e nelle numerose lettere indirizzate agli amici, ai dottori, ai preti, ai vescovi, al papa emerito Benedetto XVI. E, soprattutto, con il coraggio con cui ha guardato in faccia il male come sanno fare soltanto i piccoli che sono grandi “dentro”.
«Il vostro amore sarà la sua forza!»
I primi segnali del nemico invisibile arrivano un mattino che avrebbe dovuto essere come tanti altri. Manuel si sveglia con un forte dolore alla gamba destra accompagnato da una febbriciattola insistente che fa presagire qualcosa di strano. Il medico di famiglia, visitandolo, scuote la testa preoccupato. Capisce che non c’è tempo da perdere e prescrive una serie di esami urgenti. Il 27 luglio 2005, il bambino viene portato in autoambulanza all’ospedale di Palermo per quella che sarà la prima “stazione” di una via crucis dolorosa e senza fine.
I timori del medico trovano conferma nel referto dell’“aspirato midollare”: “infiltrazione massima da neuroblastoma di IV stadio nelle creste del bacino”. In una parola: tumore maligno. La notizia si abbatte con la violenza di uno Tsunami sul bambino e sulla sua famiglia.
Il primario tenta di esorcizzare la paura che legge negli occhi della mamma, lasciando aperta la porta alla speranza: «Anche se la percentuale di sopravvivenza fosse del 10%, dovete lottare e sperare per il suo piccolo. Coraggio! Manuel ha bisogno di lei, di suo papà, di sua sorella e di suo fratello. Il vostro amore sarà la sua forza!».
Il verdetto non ammette ricorsi o appelli. In un attimo, l’allegro passerotto, che finora cinguettava allegro nel nido di famiglia, è ferito gravemente e rischia di non volare più.
Mamma Enza e papà Beppe sono frastornati. Inebetiti da quel “90%” contro cui devono lottare, novelli Golia contro un gigante crudele e ben armato. Potrebbero gettare la spugna prima di iniziare il match impari e (bestemmiare) imprecare contro il Cielo, oppure giocarsi l’unica carta per non morire dentro: il jolly della fede che li ha sempre guidati nella vita. Dentro di loro lasciano echeggiare il Salmo 23: «Il Signore è il mio pastore. Se anche dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me». Sanno di non essere soli nei sentieri inesplorati del dolore innocente del figlio. C’è Qualcuno che li ha già percorsi e non li abbandonerà mai.
Un Amico davvero speciale
I medici sono stati chiari: bisogna aggredire il nemico da subito per non concedergli margini di manovra. Il 12 agosto, una data che rimanda alle estati precedenti al mare, Manuel entra terrorizzato in sala operatoria per l’asportazione della massa tumorale. Due giorni dopo è sottoposto al primo degli oltre 20 cicli di chemioterapia dai devastanti effetti collaterali: la perdita dei capelli, uno “sfregio” che Manuel accetterà solo per offrirlo, come “fioretto”, al suo amico Gesù, alle ripetute emorragie e alle ferite che incideranno il suo tenero corpicino.
Le cure si rivelano lunghe e inefficaci. Manuel alterna momenti di tranquillità a scatti ribelli di chi vuole andare a casa e smetterla di curarsi.
La permanenza forzata in ospedale gli riserva, però, una piacevole sorpresa. Viene a sapere, da suor Prisca, una sorella francescana del Vangelo, che non molto distante dalla sua cameretta c’è la cappellina dell’ospedale. Manuel chiede alla suora di accompagnarlo per mettere la sua testolina vicino al tabernacolo, come per ascoltare il battito del suo nuovo Amico.
Tra lui e Gesù l’intesa cresce giorno dopo giorno. Qualche tempo dopo, alla vigilia di Natale del 2009, la racconta così in una letterina ai suoi compagni di scuola: «Quando la mia vita era buia e addolorata – scrive con la gioia di chi ha trovato “il tesoro nel campo” –, ho incontrato un Amico davvero speciale. Mi ha dato la sua mano e io mi sono fidato di Lui. Ed è stato così che Lui è entrato nel mio cuore per sempre. È un Amico che non si vede, ma c’è. Non mi lascia mai solo. Mi tiene stretto al suo cuore e mi dice: “Il tuo cuore non è il tuo ma il mio, e io vivo in te!”. È un Amico davvero, davvero speciale!».
Poi, come quasi a voler svelare il segreto della loro amicizia, prosegue: «Per parlare con Lui e sentirlo vicino a me devo usare un cellulare speciale, un cellulare che si chiama “preghiera”. Devo pregare molto e concentrarmi, perché è un momento importante tra me e Lui».
E il “momento importante” ha un nome: Comunione. Con un permesso speciale del vescovo di Trapani, ottiene di anticipare il Primo Incontro con Gesù a sei anni, il 13 ottobre 2007.
Poco prima che il sacerdote gli presenti l’Ostia bianca, sussurra alla mamma:
«Sto per ricevere Gesù: mi batte forte il cuore».
Subito dopo affonda il volto nelle mani e rimane in silenzio in un “a tu per tu” che dura diversi minuti.
Quando ha concluso il ringraziamento, confida ancora a mamma Enza qualcosa di sorprendente e indecifrabile che diventerà per lui abituale: «Mamma, ho sentito la voce di Gesù, così come tu senti la mia, ma sono riuscito a parlargli e Lui mi rispondeva nel mio cuore. Che bello! Sono felice».
Dopo altre “Comunioni”, annuncerà felice che andrà a casa per una breve vacanza prendendo tutti in contropiede visto le precarie condizioni di salute. E, sorprendendo gli stessi medici, non si sbagliava. Oppure, quando, sempre riemergendo dal lungo colloquio di ringraziamento, faceva sapere che in serata ci sarebbero stati i fuochi d’artificio, la sua passione, senza che nessuno gliene avesse parlato. E, effettivamente, nel buio della notte fiorivano in cielo grappoli di luce coloratissimi.
La Comunione era diventata, come scriveva ancora nella letterina di Natale, «il momento più bello della nostra amicizia. Quando lo mangio, dentro di me è come se entrasse una bomba di grazia e di benedizione che mi fa stare meglio e protetto, perché Lui mi ama molto, più di quanto io lo possa amare! Vorrei che questo mio amico diventasse per voi un amico talmente speciale da non poter vivere senza di Lui».
Il piccolo guerriero della Luce
Tra gli auguri che riceve, in occasione della Prima Comunione, ci sono quelli della sua “cara fatina” Florinda che gli scrive, tra l’altro: «Anche se sei un bambino, Gesù ha bisogno di te per una missione importante che hai iniziato con la tua sofferenza. Se camminerai sempre al suo fianco, potrai portare a tutti perdono, consolazione, luce e immensa gioia».
Manuel rimane come folgorato dalla parola “missione”. Il suo Amico gli sta chiedendo, per caso, qualcosa di importante? Quel “qualcosa” lo scopre Comunione dopo Comunione. Durante le feste di Pasqua del 2009 scrive a suor Teresa del Monastero di Giacalone (Monreale): «Questa mattina, nella Comunione, Gesù mi ha detto: “Ho bisogno di te solo pochi giorni perché sei forte e ne ho bisogno per i bambini dal cuore indurito”».
Anche un’esperta di cose spirituali come suor Teresa, non sa spiegarsi questa “uscita” del bambino. Pensa solo al Padre che nasconde «queste cose ai sapienti» e le rivela ai “piccoli” come Manuel. Un piccolo che sente sempre di più il bisogno di dare una mano al suo Amico per convertire “i cuori duri” di quanti non lo amano, come un “piccolo guerriero della Luce”. Offrendo, semplicemente le sue sofferenze per i bambini malati come lui o per gli amici. Il 25 novembre 2008 scriveva al suo amico Giuseppe, seminarista e oggi prete: «Per la tua festa ho deciso di farti questo regalo. Ti offro il mio dolore per fare un fioretto. Voglio soffrire un poco come ha sofferto Gesù». E, sempre a Giuseppe, il 27 aprile 2009 mandava questo sms: «La mia sofferenza sta servendo a Gesù per cambiare i cuori».
Il suo cuore di “guerriero” che aveva amato… da morire il suo grande Amico, smette di battere il 20 luglio 2010, poco dopo mezzogiorno. Un mezzogiorno di luce. Finalmente Manuel può andare ad abbracciare Gesù, salutato da un delicato applauso dei parenti e degli amici che l’hanno accompagnato nell’ultima battaglia, nell’adorata casa di campagna, poco distante da Calatafimi.
Il piccolo “campione” ha portato a termine la “sua missione Luce” in soli 9 anni di vita. Lui che voleva vivere fino… a 150 anni, ora vive semplicemente… “per sempre”!
In questi giorni è uscita la nuova edizione, dopo il fortunato esordio della prima (6.000 copie vendute). Contiene 32 nuove pagine con le testimonianze di coloro che l’hanno conosciuto personalmente o attraverso la lettura della sua biografia a cura della mamma Enza e di don Valerio Bocci (ex direttore generale ed editoriale della Elledici).
La prima edizione del libro è stata presentata anche a Papa Francesco.